DAL 15 SETTEMBRE “IDOLI. IL POTERE DELL’IMMAGINE” A VENEZIA
Un viaggio nel tempo e nello spazio.
La
“Rivoluzione neolitica” e la raffigurazione umana
A Venezia dal 15 settembre 2018,
la grande mostra
“IDOLI. IL POTERE DELL’IMMAGINE”
a Palazzo Loredan di Venezia (sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti)
Oltre 100 opere tra Occidente e Oriente, dalla
penisola Iberica
alla Valle dell’Indo, dalle porte dell’Atlantico fino
ai remoti confini
dell’Estremo Oriente, dal 4000 al 2000 a. C. L’alba
della civiltà.
Fin dalla preistoria l’uomo ha sentito la necessità di
rappresentare la figura umana: con i graffiti e le pitture
murali, ma anche in forma tridimensionale.
Da quei lontanissimi tempi, fin dall’età paleolitica,
ci è giunta un’immensa quantità di statuette realizzate in diversi materiali riproducenti tratti umani.
Quale fosse il loro significato - valore simbolico, religioso o di
testimonianza, espressione di concetti metafisici, funzione rituale o
“politica” - e quali soggetti realmente rappresentassero, rimane ancora un mistero.
La mostra IDOLI (dal greco eídolon, immagine) -
promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue, istituita nel 2016 da Inti Ligabue, e curata da Annie Caubet, conservatrice onoraria del Musée
du Louvre - ci propone un viaggio affascinante nel tempo e nello spazio: il primo tentativo di confronto dall’Oriente all’Occidente, di
opere raffiguranti il corpo umano del 4000-2000 a.C.
Attraverso 100 straordinari reperti – alcuni eccezionali per
l’importanza storico-scientifica e la rarità – e grazie ad un apparato
didattico coinvolgente, sarà possibile percorrere un ampio spazio geografico, che si estende dalla Penisola
Iberica alla Valle dell’Indo, dalle porte dell’Atlantico fino ai remoti confini
dell’Estremo Oriente, in un’epoca di grande transizione, in cui i villaggi del Neolitico si
evolvono a poco a poco nelle società urbane dell’Età del Bronzo.
La cosiddetta “Rivoluzione
neolitica” è epocale: segna il passaggio da clan e tribù a società più
complesse, vede l’avvento di nuove tecnologie e della lavorazione dei metalli,
l’affermarsi delle prime forme di scrittura in diversi centri, l’avvio di reti
commerciali e dei relativi traffici anche tra popoli molto distanti, che in tal
modo intensificano
i rapporti e gli scambi di merci e
materiali, di idee e forme espressive.
In questo contesto si collocano le misteriose rappresentazioni della figura umana qui esposte,
di cui quattordici appartenenti alla Collezione Ligabue, le altre provenienti da collezioni private internazionali e da importanti musei europei:
di cui quattordici appartenenti alla Collezione Ligabue, le altre provenienti da collezioni private internazionali e da importanti musei europei:
l’Archäologische Sammlung-Universität Zürich,l’Ashmolean Museum of Art and Archaeology–
University of Oxford, il Musées Royaux d’Art et d’Historie di Bruxelles, il Monastero Abbaziale
Mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, il Badisches Landesmuseum Karlsruhe, il MAN-Museo Arqueológico nacional di Madrid, il Polo Museale della Sardegna–Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, i Musei Civici Eremitani di Padova, il Cyprus Museum a Nicosia e il Musée d’Archéologie Nationale et Domaine National de Saint-Germain-en-Laye.
Dapprima saranno quasi esclusivamente figure femminili, poi con l’affermarsi di società
sempre più strutturate, saranno soprattutto gli uomini a divenire protagonisti: dei, sovrani, eroi.
Sarà sorprendente vedere come, in parti del mondo tra
loro lontanissime, si affermino tradizioni e forme di rappresentazioni simili o
si ritrovino materiali necessariamente giunti da paesi distanti, eppure già in
relazione tra loro: l’ossidiana della Sardegna e dell’Anatolia, i
lapislazzuli importati dall’Afghanistan, l’avorio ottenuto
dalle zanne degli ippopotami dell’Egitto o delle Coste del Levante.
La mostra prende in esame gli idoli da un punto di vista estetico, a partire tuttavia da una solida base storica e archeologica, che si amplia ulteriormente nel catalogo dell’esposizione (Skira) grazie al
contributo di esperti di levatura internazionale. Viene così proposto un confronto tra caratteri fissi e condivisi e
aspetti variabili, visti dalla duplice angolazione dell’antropologia e dell’estetica.
Tra i fattori comuni va annoverata la qualità artistica: “gli individui che
realizzarono quelle sculture - scrive la Caubet - erano artisti dotati
di grande talento, che muovendosi tra il rispetto dei modelli tradizionali e la
creazione innovativa, seppero comunque lasciare un segno”.
Figure simili all’apparenza, rispondenti a codici
iconografici analoghi, sono in realtà ciascuna un unicum nelle
proporzioni, nei particolari, nel fascino, grazie al tocco dell’artista.
L’esposizione a Palazzo Loredan, a Venezia, ci mostrerà
- provenienti dalle Isole Cicladi, dall’Anatolia Occidentale, dalla Sardegna,
ma anche dall’Egitto, dalla Spagna, dalla Mesopotamia o dalla Siria - le famose
“Dee Madri” (raffigurazioni femminili
particolarmente prospere nei seni e nei fianchi, simbolo forse del potere della Terra,
della Maternità e della Fertilità) e gli idoli astratti e geometrici che tanto
affascinarono gli artisti del Novecento; oppure i
cosiddetti “idoli oculari” o idoli placca,
nati dalla fascinazione esercitata dall’occhio come espressione della
presenza spirituale, fino all’affermarsi, nel terzo
millennio, del corpo umano nelle sue forme naturali.
Non più solo esseri dall’identità ambigua, in
particolare dal punto di vista del sesso (figure femminili androgine, presenza
contemporanea di organi sessuali maschili e femminili, ecc.) né solamente
espressione di principi divini, ma anche uomini mortali, reali - spesso colti in atteggiamento
orante - e nuove
divinità create a immagine dell’uomo.
Quello che invece non cambia è il bisogno
dell’individuo e della società di esprimere, con manufatti o con opere d’arte,
le proprie paure, le proprie speranze, la propria fede.
Tutte le
statuette in mostra, che riportano talvolta i segni delle ripetute
manipolazioni o di riparazioni coeve - a dimostrazione di un loro utilizzo
costante e di un ruolo chiave negli eventi sociali e religiosi ricorrenti -
sono dunque custodi di storie e miti di straordinaria suggestione; testimoni di usi e
di bisogni simili e, in seguito, di quel “grande arazzo di culture
interconnesse” che si venne a creare tra la fine del IV e per tutto il III
millennio a.C.
Non possiamo non farci affascinare dalle figure steatopigie dell’Arabia, o dalle statuette cicladiche dalla sessualità ibrida o ancora
dalle più enigmatiche
sculture della preistoria cipriota, quelle statuine stanti del tipo plank-shaped
(con i tratti del volto resi da una molteplicità di segni geometrici
incisi, l’abbigliamento elaborato e spesso del tipo “a due teste”), di cui sono
in mostra importanti esemplari del Museo Archeologico di Nicosia; o ancora
dalla visione naturalistica ma idealizzata che si sviluppa in Mesopotamia
nell’Età del Bronzo.
I geni raffigurati in questo periodo dagli artisti
della Civiltà dell’Oxus, sviluppata in Asia centrale
(complesso Battriano-Margiano), narrano di battaglie cosmiche, di esseri dalla doppia identità animale e umana,
ricompongono i fili del racconto mitologico ove il “Drago dell’Oxus” -
detto anche “Lo Sfregiato” per il profondo squarcio che gli
deturpa il volto - con il corpo coperto di squame di serpente, era la
controparte selvaggia della “Dama dell’Oxus”: forse spirito
astrale, forse principessa Battriana.
Non possiamo non farci sedurre dai miti di queste prime
civiltà e dal potere dell’immagine.
INFORMAZIONI
Sede
Palazzo Loredan - Isituto Veneto di Scienze Lettere ed
Arti Campo Santo Stefano, 2945
Vaporetto
Linea 2, fermata S. Samuele
Date
15 settembre 2018 - 20 gennaio 2019
Informazioni sulla mostra
Informazioni sulla mostra
Segreteria organizzativa +39 041 2705616 prenotazioni@fondazioneligabue.it
Sito web
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@fondazioneligabue
Instagram:@ligabuefoundation
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